La Rosa di Bagdad
L’amore tra il giovane Amin e la bella principessa Zeila, ostacolato dal perfido Giafar e dal mago Burk, si snoda in un mitico oriente tra eroiche avventure e malefici sortilegi fino al trionfo del Bene e della Giustizia, portando al successo internazionale il primo lungometraggio italiano d’animazione e primo film a colori del nostro paese, premiato nel 1949 al Festival dei Ragazzi della X Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
La partecipazione a La Rosa di Bagdad è un’esperienza fondamentale per Libico Maraja, momento di profonda maturazione artistica destinato a caratterizzare tutta la produzione successiva, nonché prima vera occasione di affermazione sulla scena nazionale ed internazionale. La sua presenza è costante dal 1941 al 1945, anni decisivi dal punto di vista creativo, al termine dei quali il film può dirsi pressoché concluso. Quando Anton Gino Domeneghini si vede costretto ad abbandonare il settore pubblicitario, investito da una crisi profonda in seguito all’inasprirsi della censura fascista e al protrarsi del conflitto, e decide di intraprendere la strada del cinema d’animazione per produrre un lungometraggio a disegni animati, Maraja si trova già alla I.M.A. Pubblicità in qualità di grafico. I contatti con la ditta milanese risalgono infatti all’autunno del 1940 e inducono a ipotizzare che l’artista debba aver intuito il nascere del nuovo ambizioso progetto e debba avervi aderito fin dall’inizio, prendendo parte alla fase di progettazione. Assunto come animatore, nel corso della lavorazione ottiene il ruolo di direttore alla scenografia. Racconta lo stesso Maraja:
“Dopo qualche mese di lavorazione, Domeneghini, che vedeva le cose in grande, si era rivolto a Nicola Benois, scenografo della Scala e personaggio di valore europeo. Benois, però, venne una volta o due e poi desistette. Contemporaneamente era stato ingaggiato Mario Zampini, scenografo scaligero anche lui e illustratore. Ma i fondali di Zampini erano troppo imponenti e pomposi per servire a un film come il nostro. Allora decisi di provare a modo mio: al di fuori delle ore di lavoro dipinsi le scene come io le sentivo, e le feci vedere a Bioletto e Pedrocchi che era allora direttore di produzione. Piacquero e così cambiai specializzazione.”
L’artista è fra i più pronti ad assorbire la lezione disneyana del disegno che recita, ed è deciso ad indagare le potenzialità dell’animazione studiando insieme a Gildo Gusmaroli e Mariano Leone la pizza di Biancaneve e i sette nani che Domeneghini era riuscito a procurare. Fondamentale punto di riferimento oltre a Walt Disney è il teatro: il mondo teatrale in cui Maraja si è formato non è quello lirico, ma piuttosto quello delle commedie organizzate alla Casa d’Italia di Lugano con gli amici, basate sull’improvvisazione, le battute di spirito, i travestimenti e un rapporto diretto col pubblico. Proprio la confidenza con il teatro, per il quale Maraja durante tutti gli anni Trenta crea scenografie, costumi e si esibisce come attore e cantante, determina quella padronanza dello spazio e quell’estro scenico che, maturati durante la lavorazione de La Rosa di Bagdad, renderanno poi inconfondibili le sue illustrazioni di classici per l’infanzia.